racconti di un tempo


Qui di seguito sono riportate alcune testimonianze raccolte nel libro “Memorie storiche e culture locali. Rozzano”, basate sui ricordi e sulle esperienze di trenta anziani, nati e vissuti a Rozzano o nelle sue frazioni e che hanno visto lo sviluppo, le trasformazioni socio-economiche ed urbanistiche di questa città.



"Occasioni di incontro erano le sagre, ma le frazioni avevano sostanzialmente vita autonoma, anche perché i collegamenti erano difficoltosi: le varie cascine erano infatti collegate da sentieri “e la strada era piena di fossi”; testimonianze narrano che da Quinto Stampi a Rozzano ci voleva un’ora a piedi col bel tempo."

"I rapporti fra le frazioni sono sempre stati un po’ particolari: se lei chiede ad uno di ponte Sesto, lui dirà: “Io abito a Ponte Sesto, non sono cittadino di Rozzano” e così anche gli altri, c’è sempre stata questa diversità, non si sentono mai unità in una sola comunità, quella di Rozzano; probabilmente è parte della nostra cultura, anche nello sport era così."

Ferrabue e Valleambrosia
"Ferrabue era una grande cascina, il proprietario era il Ferrario, stavamo sotto Gambarone e in quella cascina c’erano quindici o sedici famiglie; ci si radunava la sera per chiacchierare, quando c’era qualcuno che aveva la radio si andava a sentire quando succedeva qualche cosa di nuovo."

"Non c’erano le strade come adesso, quando pioveva era un disastro, si doveva avere gli stivali di scorta! Io venivo a scuola a Rozzano, si faceva la strada da Ferrabue, da Cassino c’erano 2 km in mezzo ai campi e si veniva a piedi da Rozzano vecchia, qui dove oggi ci sono le scuole professionali, allora c’erano solo i piedi per muoversi e solo qualche volta la bicicletta."



Cascina Ferrabue (dove si tenne il primo mercato di Rozzano), via Garofani, anni '70

"La domenica a Ferrabue da bambini si andava a messa e si giocava, il pomeriggio andavamo alla dottrina, mentre gli adulti o andavano a qualche festa a ballare oppure al cinema, c’era anche il cinema dell’oratorio.
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"Quando ero piccola siamo andati a vivere a Valleambrosia, a me non piaceva, poi anche la cascina è stata buttata giù per costruire le case popolari e c’era solo mio padre che lavorava in cascina. Valleambrosia era sempre mal allacciata come mezzi, era un po’ isolata da Rozzano ma per Milano c’era la Sgea, quindi si poteva andare a lavorare in bus; a Rozzano c’era qualche negozietto poi sono arrivati i supermercati e si andava a fare la spesa con la macchina. A Ferrabue invece non c’erano i negozi, c’erano a Cassino che era più vicino di Rozzano."


Cascina Bandeggiata, Valleambrosia, 1992

"La gente di Cassino voleva essere più indipendente, un po’ superiori anche perché avevano la chiesa, ma non c’era una vera e propria ostilità tra persone. La chiesa di Rozzano comunque era più importante e certe volte noi andavamo a Cassino perché andavamo a piedi ed era più vicino, ma si rischiava anche di prendere le botte se i genitori se ne accorgevano."

"Il paesaggio era fatto solo di campi, erano tutte frazioni, c’erano quattro case messe in piedi; a Valleambrosia eravamo quattro gatti: un palazzo, qualche villetta; Rozzano era un bel paesino abbastanza tranquillo, si viveva bene, a me è sempre piaciuto, non vorrei cambiarlo con un altro paese.
Nel ’55-’56 si andava in un bar di Valleambrosia a vedere “Lascia o Raddoppia”. Quando io ero ragazzina si andava al bar solo per vedere la televisione oppure il “Festival di Sanremo”, o quel programma di Mario Riva, “Il Canzoniere”
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"La festa di Rozzano comprendeva tutte le frazioni, si facevano le torte, c’era qualche cosa in più da mangiare sul tavolo rispetto al solito.
I rapporti fra noi e Rozzano vecchia e le altre frazioni erano buoni, non erano buoni fra noi ragazzi e quelli di Moirago, mentre qui siamo sempre andati d’accordo, non c’erano rivalità campanilistiche. Ci si metteva d’accordo per non fare feste coincidenti. Anche con le persone delle cascine eravamo amici.
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Qui nel ’65 a Quinto de Stampi non c’era niente, c’erano solo ditte con tantissimi operai che facevano autofilettanti, vetrerie e altro. Nelle ditte c’erano tutti gli immigrati dal cremonese e dal nord. Per il resto erano tutte risaie che si estendevano da dove c’era la cascina della Bandeggiata verso Valleambrosia; gli Stabilini erano i proprietari di mezza Quinto, dove oggi c’è il nuovo oratorio lì c’era la cascina degli Stabilini, dentro ci vivevano in tanti e lavoravano tutti i campi intorno. Poi nel 70-80’, con l’aiuto del sindaco Foglia, l’abbiamo fatta nuova Quinto! Facevamo feste del paese: quando c’era la festa del paese c’era la cuccagna con i salami e i prosciutti; il ciclismo per i giovani corridori, qui avevamo proprio un circuito interno tutto nostro.

Via Europa, Quinto Stampi, anni '60


"Albero della cuccagna", festa di Quinto de Stampi, anni '70

"Mio padre ha fondato Villalta, che poi è diventato il nome di tutta questa zona di Pontesesto, io comunque sono nato a Rozzano nel 1915, più precisamente a Gambarone. Eravamo allora abbastanza isolati, c’erano solo 3 aziende agricole: Villalta, Pontesesto vecchia e Gambarone, ma per avere degli influssi milanesi bisognava spostarsi con difficoltà perché c’era solo una strada in mezzo ai campi."

"Valleambrosia prima era tutto completamente agricolo, c’era stato un piccolo insediamento industriale nel 1915 circa, con la filanda lungo la statale. C’era un oleificio e un mugnaio, allora l’unica energia era la ruota ad acqua. C’era poi anche una fornace alla Bandeggiata vicino a Valleambrosia al confine con Milano, sulla statale."



Interno del mulino Bissone, 1992

" Io sono nato a Rozzano, da padre Pavese e da madre di Rozzano da tre generazioni, i quali abitavano nella casa detta delle “botole”, appena dietro la chiesa di Rozzano vecchia di S. Ambrogio. Rozzano era infatti sede del corpo di guardia del castello visconteo di Cassino Scanasio el Bissone c’era il cambio dei cavalli, proprio dove oggi c’è un chiosco della frutta, c’era un arco con il simbolo dei Visconti, con lo stallazzo per il cambio dei cavalli che da Milano si fermavano per andare a Motta. La chiamavano dunque Casa delle Botole, perché ancora oggi si vedono i falsi piani."


Bibliografia: